Alex Katz e i Pittori moderni della realtà: due mostre da vedere a Rovereto

DUE GRANDI APPROFONDIMENTI OCCUPANO L’ULTIMO PIANO DEL MART DI ROVERETO: UNO È DEDICATO AL GENIO (TARDIVAMENTE RICONOSCIUTO) DEL PITTORE FIGURATIVO AMERICANO PER ECCELLENZA, L’ALTRO A UNA PARENTESI ITALIANA FILO-CARAVAGGESCA TRA GLI ANNI QUARANTA E CINQUANTA DEL NOVECENTO.

Un’estate per scoprire l’arte meno nota: è questo lo spirito con cui ci deve avvicinare alle due esposizioni in corso al Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Rovereto. Quella proposta è vera e propria riscoperta del Novecento e della contemporaneità: l’ingresso bifronte e bicromatico divide lo spazio in due vani, uno bianchissimo e luminoso, l’altro tenebroso. Solare nella forma e nella sostanza, e tutta volta al futuro, è la personale dedicata ad Alex Katz ‒ la più grande mai dedicatagli in Italia ‒, mentre è densa e a tratti controversa la mostra dei Pittori moderni della realtà, primi caravaggeschi del Novecento e grandi apprezzatori del passato.

ALEX KATZ IN MOSTRA AL MART

Una eterna primavera”, l’ha definita il presidente del Mart Vittorio Sgarbi: in effetti quella di Alex Katz (New York, 1927) ‒ tra i maggiori artisti americani viventi ‒ è una parentesi gioiosa e pacifica in un Novecento che conosciamo come difficile e densissimo. La Vita Dolce ‒ realizzata sulla scia delle esperienze pionieristiche italiane ed europee di Emilio Mazzoli, Monica De Cardenas e Alberto Fiz tra gli Anni Novanta e Duemila ‒ porta al centro della scena un artista che, nonostante il grandissimo successo guadagnato negli States e il fatto che lavorasse con profitto da decenni, ha avuto poco successo nel Belpaese. Le quaranta opere in mostra, prodotte tra la fine degli Anni Ottanta e gli Anni Dieci del Duemila, rappresentano tutto lo spettro del suo lavoro, dai piccoli quadretti alle grandi tele, articolato nei soli due generi del ritratto e del paesaggio. Passando con naturalezza da atmosfere festive a grandi spazi silenziosi ‒ “pochissimi come lui sanno riprodurre in arte il silenzio”, dice il curatore della mostra Denis Isaia indicando South Light ‒, Katz omaggia le cose semplici e belle della vita: il suo Maine, la moglie Ada, i colleghi e la famiglia, lo stupore della natura e la gioia della sua scoperta. Caratterizzato da una stupefacente capacità di colorista, ricorda il curatore, Katz dipinge le sue “epopee” naturali e familiari con pennellate piene e rapide ‒ al punto da concludere in appena dieci ore delle tele immense ‒, trovando una perfetta ambientazione negli spazi pieni di luce e incastonati nelle montagne del Mart. Le grandi campiture di colore e la dispersione del tratto a distanza ravvicinata che appaiono in opere come Woods Song ricordano le sue origini coeve all’Espressionismo astratto di Pollock e alla pittura di puro colore diRothko, mentre le figure femminili empatiche e fresche come Susanne Anne Lyon sono state interpretate in passato come un legame con il pop: un paragone che non ha senso fare, dice Isaia, dato che la componente pittorica dell’opera di Katz è talmente importante da distanziarlo con forza dall’universo pop. Difficile da inquadrare, e ancora di più da dimenticare, l’opera del novantaquattrenne Katz è in un momento di riscoperta globale: tra il 2022 e il 2023 lo aspettano grandi monografie al Guggenheim di New York (dal 16 agosto), alla Fondazione Thyssen-Bornemisza di Madrid (dall’11 giugno) e all’Albertina di Vienna. Dopotutto, il suo lavoro è perfettamente in linea con un più ampio spostamento generazionale di prospettiva valoriale, volta ora a una vita “naturale” e anti-eroica.

LA FORZA DEL VERO: I PITTORI MODERNI DELLA REALTÀ A ROVERETO

Chi ha detto che il secondo dopoguerra pittorico debba essere votato al modernismo? La breve ma intensissima esperienza degli autoproclamati “Pittori moderni della realtà”, sbocciata nel biennio 1947-49, vede un raccolto gruppo di pittori assumere su di sé l’eredità dei Valori Plastici e del Realismo Magico in difesa della “grande tradizione pittorica”.
I quattro cavalieri della difesa del reale ‒ che moltissimo devono alla precoce riscoperta di Caravaggio ‒sono Gregorio Sciltian, di origine armena ma di nazionalità sovietica, l’italiano Pietro Annigoni e i fratelli spagnoli Antonio e Xavier Bueno (cui si aggiungono poi anche Giovanni Acci, Carlo Guarienti e Alfredo Serri). In sole cinque mostre, lavorando perlopiù intorno a Firenze, i Pittori moderni sviluppano una visione di impressionante modernità.
Con opere magistrali come Bacco all’osteria di Sciltian e La carrozza dei fratelli Bueno, i “moderni” sono molto apprezzati dal pubblico e dai collezionisti, ricorda la curatrice Daniela Ferrari, nonché da artisti come Giorgio de Chirico, che contribuisce alla solidità della proposta tecnica e “morale” del gruppo. D’altra parte ottengono anche pessime opinioni di critica, con accuse di passatismo e vuoto virtuosismo: sfugge il loro messaggio programmatico, rivolto a una rinascita della pittura attraverso il richiamo costante a riferimenti classici e la ricerca di virtù artistiche dalle connotazioni spirituali assolute. La pittura dei quattro protagonisti del movimento, che vuole catturare la realtà senza escamotage, fugge così dalle avanguardie e dall’astrattismo come da espressioni di decadenza. Questa marcata spinta polemica finisce per attirare ancora più critiche di radicalità e di uno scollamento dalla realtà postbellica: il gruppo si scioglie, lasciandoci in eredità un cospicuo novero di opere di una modernità sconcertante.

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